Tornare in campo dopo una partita come quella contro i Wolverines crea uno stato di tensione negli spogliatoi che può essere un’arma a doppio taglio. Se da un lato può paralizzare, spaventare e rendere una squadra inefficace, dall’altro, se ben indirizzato, può dare quella grinta, quella voglia di farcela e di riscatto che determina l’esito di una nuova sfida.
Non è per un colpo di fortuna che sabato a Bresso si sia andati verso la seconda direzione e il risultato per i Rams sia stato di 46 a 27. Le due settimane di stop sono servite a mettere mano ad alcuni errori commessi a Piacenza e lavorare soprattutto sulla testa.
Finalmente si è visto il gioco dei verdi di Milano, si è visto quel cuore così importante in una squadra che gioca a questo sport.
Di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio. È necessario arrivare ad un livello per cui non cali mai l’intensità di gioco, momento in cui subentra la distrazione e si subiscono dei colpi inaccettabili. Serve quella fame che spinga la difesa a non concedere nemmeno una yard e porti al raggiungimento degli obiettivi a fine partita.
Bisogna lavorare tanto sulle trasformazioni, che tolgono ogni volta due punti ed è una cosa che non ci si può permettere, soprattutto nel momento in cui si sfidano squadre importanti e capaci. Due punti in più per ogni touchdown fanno la differenza tra una partita vinta e una persa, sono dei punti che, se non guadagnati, sono regalati all’avversari. Il coach Crosti lo sa bene e sottolinea però come sia stata «buona la prova del nostro attacco che è riuscito a concludere in meta molte delle palle a disposizione, segno che il feeeling con il nuovo play book di Marco Bravetti inizia a dare buoni risultati».
Ci sono tutti i presupposti, si intravede una parabola positiva per la squadra, ma non bisogna abbassare la guardia. «Alcune dinamiche di panchina devono essere risolte – sottolinea il QB Murino – perché la voce dei Rams sia una e una soltanto.»
Giacomo A. Minazzi
Ufficio Stampa Rams Milano