Si mette prima casco o paraspalle?

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di Pasquale “Pas” De Filippo

foto di: Lorenza Morbidoni
Nella foto: Tommaso Pozzebon (Marines Lazio)

Certo è che fare il coach è proprio una passione: ti interessi, studi le strategie, organizzi gli allenamenti … e poi vai al campo ed ecco che tutto ciò si dissolve davanti alla mandria di atleti che si presentano dinanzi … e tu ti poni la domanda:

«ma perché lo sto facendo?»

Ovviamente si scherza ma è innegabile che il percorso di un coach è costellato di tantissimi episodi ignoranti che nelle serate più goliardiche diventano il tema di confronto tra allenatori; i ragazzi sono in gamba e alle volte capitano episodi che … che … non so come definire. Ognuno ha le sue ma certamente molti si ritroveranno in questi assolutamente simpatici e spassosi aneddoti.

Bellissimo trovarsi il giorno della partita con i giocatori pronti di tutto punto, con divisa ed attrezzature in ordine, caschi fiammanti e l’unico libero arbitrio erano le calze: così ecco sfoggiare coloratissime fantasie, alle volte anche dissonanti con i colori sociali, fino ad arrivare ai coraggiosi indossatori di Burlington con tanto di rombi. Addirittura ricordo un giocatore che dimenticati i pantaloni da football, si allenò con i calzoni di velluto, episodio che gli donò il soprannome in team. E quelle maglie che quando spieghi che obbligatoriamente devono andare nei pantaloni ma il tizio corpulento ti osserva triste e ti confessa:

«coach … ma non ci arriva»

Parliamo delle nomenclature? Il casco si salva in quanto può diventare “elmetto” o per lo più “scodella”; il pallone si trasforma in “boccia” o “biglia” ma il detentore del titolo del massacro lessicale è senza dubbio il paraspalle: le “sciolde” (per parafrasare l’americano), “spalline”, “spalliere”, “corazza”, “armatura”, la più classica “roba” fino a giungere al grande grido di battaglia entrando in campo:

«ragazzi indossate parapalle e palline e andiamo a giocare»

Rimanendo in materia di protezioni: quanto è gratificante per un coach, scoprire che il suo uomo chiave, magari proprio il quarterback, è giunto alla trasferta senza le protezioni obbligatorie. Per non parlare dei coraggiosi e virili che ritengono superflua la conchiglia per poi scoprire che nel football, le palle che vengono prese, non sono solo quelle da gioco. Menzioniamo poi un evergreen di tutte le squadre: giocatori al primo anno al quale vengono consegnati pantaloni e protezioni da inserire all’interno e …

«coach, le ginocchiere non sono giuste per il pantalone, sono troppo grandi»

e puntualmente mostrargli che con le dovute manipolazioni non solo i cammelli possono passare per la cruna di un ago ma anche le protezioni nella sua tasca.

E il paradenti? Non vogliamo ricordarlo? A parte i continui richiami dei Ref affinché i giocatori lo usino ma l’avventura maggiore è far in modo che siano in grado di dargli la forma mettendolo in acqua calda: il peggio l’ho sentito da un ragazzo che immergendolo nell’acqua della pasta, non si è reso conto che si stava sciogliendo perché non distingueva la pasta dal paradenti. Poi ci sono gli arditi con ustioni di primo grado perché estraendolo dall’acqua calda, dimenticano il passaggio nell’acqua fredda e lo portano direttamente in bocca.

Parlando di paradenti ricordo l’episodio di un lineman che nell’esultanza lo lascia cadere nel fango e guardandomi con sguardo triste: «coach è sporco», …«sciacqualo», gli consiglio e lui, addocchiando una pozzanghera scura, si abbassa e mette in atto quanto tutti voi state immaginando, riposizionando in bocca l’oggetto. In questi casi possiamo affermare che il giocatore di football è l’anello mancante tra l’uomo e la bestia. A sostegno di questa tesi, nella medesima partita, dopo un potente impatto, da terra un difensore si alza ma grida verso la panchina: “non ci vedo! non ci vedo!”, il rischio di un trauma cranico spaventa tutti, accorriamo, togliamo la zolla di fango dal viso e … “ora sì!” … devo descrivere la mia reazione?

La colpa non è sempre dei ragazzi; il coach, spinto dalla volontà di mettere in pratica le strategie spesso dà per scontati alcuni passaggi della spiegazione ed ecco che dopo un attenta illustrazione, l’atleta risponde con un deciso: “Sì, Coach!” per poi assistere impassibilmente a quanto NON doveva accadere! Il peggio della Sideline nei confronti dei giocatori però lo si assiste sul ritorno di Punt o Kick off, quando la palla tocca terra ed ecco alzarsi da tutta la panchina un:

«laaascialaaa”, “preeendiiila”, “toooocalaaa”, “nooon toocaaarlaaa»

… il tutto però contemporaneamente e così assistiamo ad un giovane in preda a dubbi sulla sua esistenza che stremato, s’inginocchia al fato.

Abbiamo poi il problema della percezione: spesso il coach osserva il suo runningback che con davanti a sè un’autostrada, opta per una virata verso gli avversari che inevitabilmente arresta la corsa; secondo il giocatore, un taglio fulmineo e shockante alla Roger Craig dei 49ers dell’85 mentre per il resto del mondo, un inspiegabile tentativo di suicidio alla moviola.

Si potrebbe andare avanti per ore: un neo-centro che ritiene più ergonomico snappare ruotandosi indietro anziché far passare la palla in mezzo alle gambe oppure la guardia che dopo l’impatto con il defensive end decide di mettere a posto il paraspalle e non vede l’intercetto corrergli di fianco oppure due uomini di linea che nelle ultime battute di un’estenuante partita, nei loro rispettivi huddle, guardandosi da lontano si dicono: “non ce la faccio più” … “a chi lo dici!”…

…oppure giocatori che si inventano uno schema e lo chiamano gridando “Mao-Mao” (Frogs docet)..

Insomma, gli episodi sono tantissimi, tutti simpatici, esilaranti e credo che ognuno di noi ne abbia anche di migliori; di fatto ci fanno capire quanto umana sia l’esperienza del football, quanto sia legante questo sport e quanto metta alla prova i nostri ragazzi … la via maestra è: lasciamoli fare, ci dovrebbero arrivare da soli; e quando osservando la sideline, noterete un uomo che si copre il volto con le mani, ora sapete che in quell’istante si sta scrivendo una nuova riga di questo articolo.

PAS

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