Flag fuori campo

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Stavamo parlando di scelte, interpretazioni, regole, di umani, di arbitri: “… Attenti voi che entrate …”!
Per far capire a ogni lettore quanto sia difficile scegliere senza rischiare di rovinare il gioco facendo delle scelte arbitrali (si,anche nel football) vi racconto un minuscolo episodio visto a Parma, assistendo al match tra Panthers e Rhinos Milano a marzo.
Nessun Inferno dantesco, non preoccupatevi.
Il campo era scivoloso quel giorno per via dell’erba appena bagnata da una acquazzone.
Il returner di casa, Canali, riceve la palla (che assume a volte dei giri che il meccanismo occhi-mani non riesce sempre a comprendere) e fatica a stare in equilibrio a causa della condizione del campo poggiando in una maniera (certamente) ambigua il ginocchio a terra. Questo gesto è proprio quello che viene usato normalmente per fermare l’azione per via del contatto (testa o gomiti o bacino o ginocchio – il famoso “down by contact”) con il terreno. Cosi facendo il ritornatore aveva fatto sembrare di accontentarsi della posizione di avanzamento sul terreno di gioco.
Bisogna dire però che durante quel game c’erano state altre cadute e scivoloni e, a meno che non ci sia una ricezione (o un intercetto) e si scivola senza contatto il gioco dovrebbe continuare.
Facendo infatti continuare l’azione piuttosto di fermarla, l’arbitro di linea che ha fermato il gioco, non avrebbe compiuto nessuno strappo alla regola; sarebbe stato considerato come un gesto non volontario, ma l’azione è stata invece fermata. In questo caso nemmeno la scusa della “sicurezza per il ritornatore” (da returner, il ruolo di colui che è designato per riportare il pallone) può essere addotta in quanto gli avversari erano molto lontani ancora dal potenziale contatto con Canali.
La domanda giusta è forse: è corretto fermare il gioco ogni volta che un giocatore scivola sul campo? Tutte le volte? Di questo ho i miei dubbi.
Anche se la questione andrebbe approfondita, sappiamo che ci sono delle regole diverse in NCAA e NFL, e la nostra lega IFL segue le regole NCAA. Questo esempio appena fatto non merita altra attenzione se non quella suscitata per capire quanto possa essere pesante anche nel football una scelta “decontestualizzata” troppo rapida di interpretazione di gioco da parte dell’arbitro, e quanto a volte il desiderio di soffiare in quel fischietto danneggi gravemente la bellezza del gioco. Mettiamoci il cuore in pace. Siamo umani, restiamo umani, è per questo che si dice ci siano arbitri migliori di altri.

Per quanto riguarda il football americano, inoltre, in Italia non abbiamo ancora la prova video, mentre nei tornei e nelle competizioni più sviluppate, conference di College football questo esiste già (e viene preso in causa mediamente una volta per game in vario modo: per questo vi invito a guardare delle partite integralmente, su youtube se ne trovano anche recenti e gratuite).
Deducete quindi automaticamente tutte le conseguenze che derivano dal giocare con questo tipo di sistemi di controllo delle regole (ruolo arbitrale) ad uno sport rapido: i gesti di ogni singolo giocatore e non solo possono influenzare un’azione, in ogni momento ed in contemporanea (tanto che a volte capita che una penalità annulli un’altra commessa da un’altra squadra), determinando sanzioni di vario tipo.
Ecco perché è molto importante ai fini della bellezza del gioco allenare alla disciplina i giocatori, allenare alla conoscenza delle regole e dei loro perché.
Fondamentali sono l’imparzialità degli arbitri e il comportamento di tutti i giocatori, nonché in un contesto ancora così piccolo, come quello italiano, la buona fede di ognuno; si, anche del pubblico.
Se abbiamo un pubblico, dei giocatori più preparati spingiamo anche la classe arbitrale e tutte le categorie (non le parti, visto che siamo sulla stessa barca) a conoscere meglio le regole e ad interpretarle in modo corretto, flessibile, apprezzabile: “ad aumentare il livello”. Nessuno di noi ama essere punito, ma tutti apprezziamo un gioco equilibrato dove le scorrettezze sono punite e gli errori pagati con un metro umanamente “comprensibile e comprensivo”. E’ certo che spesso il football giocato da noi trova un livello che non si adatta bene con il regolamento che lo dovrebbe gestire (molti sono i falli che non vengono chiamati o troppi quelli che vengono notati? In questo contesto è evidente che quando si fa notare un fallo ogni tanto questo suoni come una parziale eccezione contro di sé e non è una bella sensazione. La discrepanza tra i due piani che provoca poche domande tra i più, e dovrebbe invece generare domande tra gli staff tecnici, gli arbitri e spingerci a colmare il divario. Il divario da colmare è quello nell’allenare i giocatori al contatto corretto, alla conoscenza di diverse regole, in modo da potersi fare anche meno domande e scatenare il proprio talento, dare spazio libero alle proprie capacità e quindi allo spettacolo di questo gioco di squadra fantastico.
Tutto questo per nessuna arcana ragione, ma per divertirci di più.

Ora che avete letto come la penso potete capire l’interpretazione pacata e scherzosa che voglio dare a questo buffo episodio. Non giudico e non posso capire senza saperne di più (non voglio saperne di più), ma posso adoperarlo per provare a riflettere assieme: guardando i video offerti da Marines Lazio e resi pubblici nei minuti finali che anticipano l’inizio della gara ho notato un fatto curioso, diciamo, per chi si fa ancora delle domande quando osserva delle cose, per chi ha la capacità critica allenata. (permettete)
Si tratta di un episodio forse sciocco, un piccolo caso, che desidero non venga visto come un mero episodio “gossip”, bensì come un gesto forse poco professionale, piuttosto. Non credete? Vediamolo insieme.
Potrà sembrare che sto tendendo proprio io a decontestualizzare ciò che non conosco e le persone che osservo senza sapere chi sono. Ma a maggior ragione direi, trovo il fatto ambiguo.
Ora sto condizionando troppo la vostra opinione, osservate voi stessi.
Guardando i video del pre-game Marines vs Aquile del week end scorso (lo trovate online), mi sono trovato a riflettere su quanto siano importanti i piccoli gesti, e di chiunque li compia.
Il mie due primi articoli avrebbero potuto avere un tono spiritoso e da commedia o degenerare nell’accusatorio se li avessi tutti incentrati su quest’episodio che mi ha ispirato l’apertura di questa discussione ed il bisogno di porvi delle domande.
Su ciò che si vede nel video non vorrei venisse fatta una lettura superficiale di ciò che ho notato,ma nemmeno venga fatta una lettura pesante e aggressiva. (il giocato non si tocca, bisogna intervenire prima).
Nel pre-game della partita dove Ferrara incontrava Lazio Marines, a cui mi sono riferito diverse linee prima si è verificato un episodio che voglio usare solo per ragionare insieme:
Un componente della “crew” arbitrale si avvicina ad un coach di una delle due squadre e si scambia un saluto, come dire, normale nella cultura italiana, abitudinario, un “bacetto”, ma affettuoso tra due persone che hanno davanti a loro una partita dove l’imparzialità deve essere garantita.
Troppo a mio avviso.
Non è in discussione la qualità dell’arbitrato, ne la sua integrità. Con questa piccola questione però, che non è niente rispetto a molti problemi che il nostro football “forse” ha, e rispetto ad altri ostacoli quante le opportunità che ci sono sicuramente all’orizzonte, voglio trarre uno spunto per chiedervi: quanto siamo pronti a aumentare il livello del football?
Quanto siamo pronti a farlo attraverso l’esemplarità, attraverso il costante impegno a rappresentare, ribadisco, con il nostro comportamento quello che vogliamo che il football sia?
Ma soprattutto quanto stiamo facendo perché questo avvenga oggi?

Chiediamocelo ogni giorno che andiamo a giocare, a guardare una partita (con la sigaretta in bocca?! Allo stadio?! Magari con dei bambini accanto e vicino ai giocatori oltre “la rete”) o ad allenarci.
Ricordo ancora quell’articolo dove sono scritti concetti sacrosanti (questo se ve lo siete perso: scritto da Jenny Vrentas ) dove si parla del duro lavoro fatto da coach Bommarito.

Sono sicuro che ci siano almeno due modi di vedere. Uno guarda al football americano negli States NCAA e vuole studiarlo, vuole copiarlo e interpretarlo giustamente applicandolo alle problematiche italiane, ma puntando sempre in alto verso il modello massimo (che è indubbio, è quello oltre oceano).
Un’altra parte ho la sensazione che non guardi da nessuna parte, ma si inventi quello che il football deve essere senza osservare. E osservare è proprio la base di ogni cosa che oggi conosciamo (vi siete mai chiesti come nascono gli dei, le forze della natura, il nostro patrimonio? Dai miti, si, dalla mitologia, dall’osservazione della Natura, dall’osservazione delle sue regole in entrambi i sensi).
Sicuramente non siamo ancora abituati al gioco del football, e men che meno la nostra società e le varie generazioni si sono adattate alla presenza di telecamere.
Ci tengo solo a lanciare un messaggio però: è vero che il football è un gioco, ma è un gioco complesso come afferma Alessio d’Ascenzo, presidente Rhinos, in una recente intervista comparsa su IFLeague.it. Molto vero, ed ogni piccolo gesto conta in uno sport complesso. Questo dobbiamo capirlo.
Il football è un gioco che coinvolge decine e decine di persone (a dir poco), più di altri sport, e se non lo fa ora ancora presso la vostra squadra, lo farà, se state migliorando, e ne continuerà ad attrarre, senza dividere, senza perderne degli altri, attraverso le sconfitte e le vittorie, crescerà il numero dei suoi affiliati, crescerà la sua complessità (che riuscirete a comprendere e a gestire).

Non credo affatto in quella frase che dice “There’s no I in TEAM” e non lo dico perché qualcuno si è messo a spargere la voce che è nascosta sotto la “A” … (se notate bene è vero! … Oh, che vergogna).
Forse questa buffonata della “I” sotto la “A” nasconde qualcosa di vero, qualcosa che ci tengo a dirvi.
Infatti se reinterpretiamo non in termini di protagonismo vs collettivo il concetto che giustamente ci trasferisce quel detto in primo luogo, bensì in chiave di analisi della complessità, il TEAM possiamo comprendere essere un mondo in sé, una realtà nascosta. Per fare approcciare questa visione alternativa di quel motti americano, dobbiamo approcciare il suo significato da un altro punto di vista. Noi tutti infatti siamo un grande team fatto da tante “I”, quelle “I”, sono si gli inches e sono ovunque ci ricorda un famoso film, ma sono anche nel nostro corpo: ogni singolo muscolo lavora insieme ad altri e se non c’è lui e quel muscolo vi manca, ragazzi miei, siete destinati a farvi male (lo dicono le basi dell’anatomia e dell’osteologia. Cose fondamentali che nessuno insegna più agli atleti! Ma così funziona). Un insieme di singoli, che siano cellule, cibo, articolazioni, muscoli, giocatori, ruoli, staff, fili d’erba, allenamenti, azioni, epifanie … una sola non basta, “There is no I in TEAM”, ma una sola “I” assente o presente può cambiare tutto. (chiaro che questo motto si presta a diverse letture).
Allora possiamo vederla anche in questo modo “There’s many I in (a) Team” Il football è “complesso ed esigente” dice D’Ascenzo e aggiungo io, ed è tanto esigente e complesso quanto delicato.

Senza “il video” possiamo fare tutto quello che vogliamo. Ma non cresceremo. Ora che la crescita arriva, can we handle it? Can you…? Saremo all’altezza?
Con il video, e se vogliamo dire la trasparenza, diciamolo così, arriva tutta una serie di responsabilità, e il video è un simbolo di quello che sta arrivando, delle cose che devono arrivare per passare al livello successivo. (parlo del video perché è una ripresa della partita che mostra chiaramente ciò che è avvenuto in quel campo).
No, il football non è andare al campetto a fare una corsetta. Mi dispiace, non sono d’accordo.
Ben venga il video, ben venga ciò che chiamano “Integrity”, ben venga il merito, il giudizio, la maggiore oggettività, la “democratizzata” capacità per tutti di fare la differenza, ben venga un metro uguale, una realtà di football arbitrato, e sia chiaro, non solo arbitrato, ma del football tutto dove l’Uomo può dare il meglio di sé, dove si vive di sforzo, best practices, migliorie, innovazione, investimenti e non si sopravviva con le critiche distruttive. Forse il football può insegnare un sacco di cose ad un sacco di italiani che ancora pensano in piccolo: il football, quello vero, è uno spazio di verità, l’integrity allora noi la tradurremmo con responsabilità.

Ricordo quando il coach D’Ambrosio disse: “Ragazzi, il football non è per tutti”; ricordo di non essere mai stato più in disaccordo con una frase come quella lì … Una frase del resto così semplice. “Non è vero pensavo” nel football trovano spazio tutti, ci sono così tanti ruoli! In realtà non avevo il “big picture”, peccavo di miopia.
Il football non è per chi non vuole prendersi responsabilità, per chi non ha “integrity”.
Tutto nasce dall’osservazione; l’osservazione delle regole, l’osservazione dei modelli e lo studio di questi.
Voi che modelli avete?
Ma soprattutto, che football vorreste?

Marco Di Paolo

twitter: @marcodpaolo

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