di Pasquale “Pas” De Filippo
“La Felicità è nata gemella” …
…mai sentito dire? Quando ci capita qualcosa di straordinario o riusciamo in un risultato insperato, immediatamente dopo aver cacciato il potente urlo, sentiamo l’impulso irrefrenabile di comunicarlo a chi sappiamo farebbe piacere venirne a conoscenza; colui che senz’altro gioirebbe con noi perché consapevole del nostro percorso e degli ostacoli superati.
Qualsiasi sia lo stile di allenamento (severo, assertivo, tecnico, puntiglioso o liberista), tutti i coach hanno in comune quel momento, che prima o dopo arriva, nel quale ci si trova ad essere testimoni della gioia altrui, essere quella persona che viene informata per prima, all’ottenimento del successo di un ragazzo. Proprio quel momento è uno dei motivi che, pur non volendolo ammettere, ci fa capire perché vale la pena allenare con tutta quella fatica. È l’istante in cui diventi parte della felicità altrui e che genera il groppo alla gola!
I giovani oggi vivono una sorta di pessimismo indotto: genitori stressati da situazioni economiche o da ambienti lavorativi alienanti non riescono ad accogliere tutti gli stati d’animo dei loro figli, così i ragazzi si trovano spesso a crescere in un vuoto di regole che, se pur permetta loro la libertà, non li aiuta a formarsi un’idea del mondo ed il carattere per reagire. Sviluppano un’abitudine al “se ci riesco, lo faccio, altrimenti vuol dire che non è per me”, non si mettono in gioco, convinti che le energie spese saranno vane perché sconfitti.
Ai campi di allenamento di football americano approdano un po’ tutti i tipi di ragazzi; il nostro sport non viene praticato a scuola e non fa parte del bagaglio dell’infanzia, dunque, giungono spesso adolescenti con alle spalle altre attività o addirittura il solo divano di casa.
Li vedi nei primi allenamenti con seri problemi di coordinazione, difficoltà a concludere l’esercizio e l’imbarazzo del brutta figura davanti ai coetanei. Il coach li osserva e con le mani al volto, pensa che sarà dura! Metti insieme tanti tipi di ragazzi, con classi sociali diverse e situazioni familiari opposte, tuttavia sul campo non si vede nulla, c’è solo football. Li tratti in egual maniera e cerchi di capire cosa puoi tirar fuori dal talento (al momento ancora ben nascosto) di ognuno.
Hai il giovane proveniente dall’atletica che sei convinto potrà arrivare in nazionale, salvo poi scoprire che il contatto lo paralizza. Trovi l’obeso che si fa male solo a grattarsi la testa, che poi rivedrai fare il centro in prima divisione.
È una sorta di lotteria, tu ci metterai tutto te stesso dopodiché osserverai cosa succede; un po’ come un chimico che tenta esperimenti già testati ma con materiali nuovi: potrebbe non accader nulla, potrebbe esplodere tutto.
Intanto il tempo passa, i ragazzi crescono, tu sei concentrato nella preparazione dei campionati e gli allenamenti scorrono.
Poi un giorno …
La squadra che avevi cercato di emulsionare tra competenti ed imbranati è in campo: assisti ai primi schemi che funzionano; vedi i ragazzi acquistare sicurezza; li osservi gratificarsi a vicenda o riprendersi, discutendo di cose che fino a ieri nemmeno conoscevano; sudano, gridano, si muovono parlandosi. Tu sei lì testimone e conduttore di tutti gli eventi che si generano nella partita; il tempo scorre, la fatica aumenta, i ragazzi spingono, ce la mettono tutta, il fischio è vicino, il pubblico inneggia … ecco il qb lancia, il nostro ricevitore prende, si divincola,
corre …
corre …
… ed ad un certo punto …
TOUCHDOWN! TOUCHDOWN! Siiiii TOUCHDOWN!
Finalmente è arrivato, ed ora esplode incontenibilmente la gioia di tutti quei ragazzi, la loro prima segnatura, il traguardo di tutto il lavoro svolto in allenamento, il petto si apre ed i visi si accendono … non importa chi ha segnato dei nostri, non interessa il risultato finale … ma ci siamo riusciti! La palla l’abbiamo portata dall’altra parte facendo una cosa che prima non sapevamo fare.
ABBIAMO GIOCATO A FOOTBALL!!!
Il tempo passa ed i giovani che avevi all’inizio crescono e si evolvono; anche tu sei nel loro cammino ma ad un certo punto, magari, ti fermi e dai un’occhiata alle spalle … cosa vedi?
Noti i due nanetti che disquisiscono in merito al Draft Nfl e su chi è il miglior Qb americano.
C’è quel ragazzo che credeva che non ce l’avrebbe mai fatta ed ormai sono anni che gioca, anche con quel piccolo problema fisico.
Quel giovanotto tanto goffo che oggi scrive di football NFL e NCAA su una testata.
Quell’altro che ogni volta che veniva al campo si portava i suoi demoni, oggi gioca in America e non ci pensa più.
Poi lui che ieri faceva il ribelle ed anticonformista in campo, sfidandoti ed oggi lo ascolti fare il discorso motivante negli spogliatoi ai suoi atleti, quale grande allenatore è diventato.
C’è il ragazzo tanto bravo ma che ha dovuto smettere, perché il lavoro in Italia non c’è ed è dovuto andare all’estero a trovar fortuna, smettendo con il football.
Vedi quel campione che ti lasciò per andare in una squadra di prima divisione ed oggi è in nazionale, sapevi che ce l’avrebbe fatta, ora ha a disposizione allenatori più bravi di te e certamente mieterà successi.
E poi c’è il ciccione che non gioca più ma ha imparato a trattar bene se stesso e gli altri; quello che sembrava rachitico, oggi personal trainer; l’altro che in casa viveva il disagio sociale ed ha trovato la sicurezza necessaria per prendere quella laurea …
Quante storie può raccontare un coach, quante serate passate ad ascoltare i ragazzi dopo l’allenamento, quanti momenti vissuti in apnea.
Il groppo alla gola è la felicità di esser stato partecipe del successo di qualcuno, il privilegio di trovarsi lì, testimone del riscatto di un ragazzo che si sentiva disperato; assistere al momento in cui, uscendo dalla sua buca interiore, dove si sentiva spacciato, lanciava il suo grido di gioia; un sentimento complesso da spiegare, un mix di orgoglio, appagamento, forza ed energia; il groppo, comune a tutti i coach …
… e non sto nemmeno tanto a spiegare come mi son sentito quando un giorno, una ragazza diventata coach che avevo avuto come atleta ai suoi esordi, dopo anni mi scrisse:
«stavo parlando con i miei ragazzini al campo..e mi son resa conto che usavo le stesse frasi che tu adoperavi con me».
PAS
Foto di Lorenza Morbidoni