Le case degli altri

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di Giorgio Sivocci

All’inizio del secolo un giovane afroamericano passeggiava per Beacon Hill, il bel quartiere residenziale di Boston in cui hanno vissuto scrittori, artisti e illuminati vari negli ultimi 200 anni. Quasi tutti bianchi. Il giovane si attardava a guardare i palazzi e l’interno delle case. Le case sono belle, con alte finestre, inferriate di ferro battuto ai piani, battenti di ottone su eleganti porte in legno massiccio. Gli interni sono arredati finemente sia in stile inglese 800 che in neoclassico che minimalista. Il giovane appare deliziato. Due zelanti poliziotti, non riconoscendolo come uno del quartiere, lo fermano e gli chiedono i documenti. Il giovane, ben vestito ed evidentemente istruito, capisce subito il motivo per cui è stato fermato: è un nero in quartiere di bianchi. Il giovane è orgoglioso e si rifiuta di dare spiegazioni sul motivo della sua presenza li, ma, cosa piu grave, si rifiuta di dare i suoi documenti agli agenti. Quello che succede dopo lo potete immaginare, purtroppo 15 anni dopo è cosa di tutti i giorni. Non viene ucciso, ma viene portato in prigione dove resterà per alcuni giorni finché davanti a un giudice verrà riconosciuto come l’architetto rampante quale era e rilasciato. Prima di chiudere l’udienza il giudice gli chiese perché, lui che viveva in una bellissima casa su Newbury Street, si stesse attardando in un altro quartiere.

«Per vedere le case degli altri»

fu la risposta.

Per la maggior parte delle squadre di football americano italiane la “casa” è un problema serio. Negli ultimi 15 anni praticamente soltanto i Giants Bolzano hanno giocato sullo stesso campo. Per tutte le altre ogni stagione parte l’odissea della ricerca dei campi di allenamento e da partita (perché nella maggior parte dei casi non coincidono). Si sa, in Italia il calcio la fa da padrone sui campi e quando non c’è il calcio c’è il rugby. Alcune società, come gli Islanders Venezia, hanno trovato ottime collaborazioni con le squadre di rugby e si dividono bene le strutture. Altre fanno lo stesso col calcio. Per molte squadre di città medie spostarsi ogni anno è ormai una abitudine e spesso rappresenta anche un modo per migliorare la situazione. L’evoluzione dei social media rende più facile farsi conoscere, ma niente attira i giovani come un bel campo in una bella zona, possibilmente centrale, dove i genitori ti accompagnano e ti vengono a prendere comodamente. Dove la gente che passa per caso può dire «Ehi ma li giocano a football!». Dove se appendi la locandina della tua prossima partita o camp la vede tutto il paese/quartiere. Dove gli spogliatoi sono grandi abbastanza e non ti devi preoccupare che te li svuotino durante gli allenamenti.

Ogni dirigente sogna di portare la sua squadra in “quel bel campo” che lui conosce e a cui molto probabilmente passa vicino come faceva il giovane architetto a Boston, ma il dirigente sa che non potrà mai scalzare la concorrenza della squadretta di calcio che ci si allena, perché gli sport minori devono accontentarsi degli spazi lasciati liberi dagli altri.

Anche le ultime vincitrici del campionato quest’anno han dovuto cercarsi un nuovo campo, causa ristrutturazione del Vigorelli. Milano è grande, ma i campi a disposizione sono pochi. Molti sono già stati “provati” e non è andata bene, altri sono difficili logisticamente parlando perché magari si trovano dalla parte opposta della città rispetto a prima (e in una grande città può voler dire anche mezz’ora di viaggio in più…).

Quando una città – o un’area – ha più di una squadra le difficoltà aumentano perché sono 2 i dirigenti che spasimano dietro “quel bel campo” e allora li le cose si possono fare davvero pesanti.

Può anche succedere che una delle due squadre trovi un bello stadio di cui nessuno si ricordava più e che per coincidenza tanti anni fa era lo stadio dell’altra squadra. Può succedere che la prima squadra organizzi un bel evento in coincidenza col ritorno del football in quello stadio e può succedere che la seconda squadra si renda conto di quanto quello stadio sia ancora valido e – nonostante ormai la loro base sia ben lontano da li ed in una ottima struttura – cominci a girare sempre più spesso attorno a quello stadio, con la stessa espressione deliziata del giovane architetto… Perché si sa: le case degli altri sono sempre più belle.

Perché invece non si fa tutto il possibile per migliorare la propria di casa?

Tralasciamo i discorsi economici a cui non c’è rimedio purtroppo, basta però poco per rendere il proprio campo molto più “gustabile”, ai propri giocatori e al pubblico. Disegnate le righe sul campo anche durante gli allenamenti, magari anche solo 30 yards, di sicuro sempre quelle laterali. Tagliate l’erba in accordo col gestore del campo. Tra i vostri giocatori ci sarà senz’altro qualcuno con una tosaerba, vi farà migliorare i rapporti col gestore. Lasciate spogliatoi, magazzini e locali vari sempre in buone condizioni. Se la struttura ha un bar, organizzate il più possibile incontri li dentro, fatevi fare dei prezzi di favore in cambio di presenze sicure. Fate in modo che durante le partite ci sia sempre abbastanza da mangiare e bere, creategli una clientela e vi adoreranno e vi tratteranno alla grande. Interagite positivamente con le altre squadre che si allenano sul vostro campo, andate alle loro partite e invitateli alle vostre. E le tribune… Le tribune sono FONDAMENTALI per l’immagine del nostro sport. Il football non si può guardare da bordo campo. Se non le avete, fatevi montare delle strutture tubolari temporanee, o montatevele voi come facevano gli Hogs Reggio Emilia in via Makallè. Date un posto al pubblico! E per quanto bello possiate far diventare il vostro campo di gioco, cercate di essere ragionevoli con gli eventuali prezzi dei biglietti. 10€ per una partita di III Divisione mi sembrano un po’ tantini…

Vedo spesso sui social squadre che fanno ottime cose per il loro campo. Guelfi Firenze e Dolphins Ancona hanno da poco un fantastico stadio, di sicuro non è piovuto dal cielo.

Le case degli altri, nella maggior parte dei casi se le sono guadagnate.

Guadagnatevele anche voi.

Giorgio Sivocci

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