On Waiting. . .

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“I never think of the future. It comes soon enough.” – Albert Einstein

Nel corso di una stagione di football una delle frasi che probabilmente sentiamo di più è “Bisogna aspettare che…”. Ad esempio: A settembre bisogna aspettare che le squadre confermino l’iscrizione. A novembre bisogna aspettare che la fidaf faccia i gironi e poi a gennaio i calendari. A febbraio bisogna aspettare che finalmente inizi il campionato e adesso, a maggio, bisogna aspettare l’ultima giornata per gli accoppiamenti dei playoffs.

La parte peggiore per tutti è però quando “Bisogna aspettare la prossima stagione”.
Non solo quando non ci sono più partite da giocare, quello lo si accetta più facilmente, perché si è tutti nella stessa situazione. Diventa difficile quando solo tu non puoi giocare. Può essere per scelta tecnica – la vita difficile del QB2 -, per l’età – i junior senza una squadra under in cui andare -, per motivi di lavoro / studio o per infortunio. Li allora il tempo sembra non passare mai.

Non a tutti nello stesso modo.

A metà dell’ottocento il filosofo francese Paul Janet formulò una teoria secondo la quale ogni periodo di tempo è in ogni momento proporzionale alla lunghezza della nostra vita fino a quel momento. Cosi i primi 5 anni della nostra vita ci sembrano molto più lunghi dei 3 che seguono. Se si misura la vita in base al tempo percepito e non in base a quello effettivo, la metà della nostra “vita percepita” finisce a 7 anni. La teoria di Janet spiega che non sempre percepiamo la nostra esistenza come un’unica cosa. Viviamo nel presente e non sempre ricordiamo come eravamo 5 o 10 anni prima. È anche una questione di prospettiva. Per un bambino di 1 anno, un anno è tutto, ma a 10 anni è il 10% della sua vita fino a quel momento e a 18 anni è il 5.56%. A 30 anni è il 3.33%. Sembra dunque che quando si è più giovani, aspettare è più dura.

Eppure da allenatore mi è capitato molto spesso di sentirmi dire da ragazzi (uomini) perfettamente in grado di giocare “Coach questa partita non ci sono. Ma ci sono la prossima!”.

Ora si potrebbe star a pensare al reale interesse di questi ragazzi (uomini) per il football, ma diamo invece per scontato che gli interessi e che davvero la pensino così, che pensino davvero che saltare una partita non sia poi un problema perché tanto c’è la prossima. Cosa non va in questo ragionamento?

Innanzitutto noi di partite ne giochiamo pochine e se non sei il QB non è che la palla la vedi molto spesso. Dovresti quindi aver voglia di partecipare a più partite / allenamenti possibili per aumentare le tue possibilità di vedere qualche pallone lanciato / consegnato a te. Se sei un difensore ti devi guadagnare la fiducia del coach e non giocando non è facile. Poi ti può anche capitare che al primo allenamento dopo la partita che hai saltato – per motivi personali evidentemente – sei un po’ fuori palla e la suddetta ti finisce dritta sul dito medio causandoti la più classica delle dislocazioni che ti tiene fermo per un bel due settimane.

Tanti saluti al “ma ci sono alla prossima!”… Bisogna aspettare che guarisca il dito.

Come diceva Janet, è una questione di prospettiva.

Quando siamo giovani il tempo ci sembra scorra piano e pensiamo – giustamente – di avere davanti migliaia di opportunità di fare le cose che ci piacciono. Pensiamo che ci sarà sempre tempo per un’altra partita, un altro allenamento, un altro campionato… La vita è lunga…
Si ragazzi, la vita è lunga, ma non è sempre uguale. VOI non sarete sempre uguali. Non avrete sempre le forze o il tempo per giocare a football.

Più che altro le forze.

Placcare un running back lanciato a 30 anni non è come farlo a 20.

Correre una post a 35 anni non è come correrla a 19.

Recuperare da un infortunio non è la stessa cosa verso i 40.

Se oggi siete parte di una squadra di football, sfruttate al 300% ogni singola opportunità di allenarvi o giocare perché domani non sapete cosa vi riserva la vita. Non rinunciate a una stagione intera se potete evitarlo (leggi fidanzate o simili…) perché se oggi correre e placcare vi sembrano cose semplici tra non molto non sarà così. Avete tutti in squadra compagni veterani, chiedete a loro cosa gli costa in termini di sforzo ogni allenamento. Ogni singola partita vi fornisce un’esperienza che nessun allenamento vi può dare. Ne avete poche all’anno, sfruttatele tutte! E se proprio dovete aspettare perché siete infortunati, sfruttate al meglio la lunga attesa partecipando comunque ad allenamenti e partite (se siete bloccati a letto studiate schemi o guardate video) perché è comunque esperienza. Più si è esperti e meglio si gioca e dato che servono almeno 800 ore di pratica per essere esperti di una cosa, non sprecate tempo.
Per quanto relativo vi possa apparire.

“The only source of knowledge is experience.” – Albert Einstein

Joe Sivox

Grazie a Stefano Quinteri e all’articolo di Ana Swanson del Washington Post che hanno ispirato questa storia.

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